150° Anniversario dell'Unità d'Italia, 25° Anniversario d'arte: una splendida inziativa del Maestro.
Lettera della Presidenza della Repubblica
Gentile Signor Sessa,
mi riferisco alla Sua lettera relativa alle celebrazioni del 150° anniversario dell'Unità d'Italia.
Le attività preparatorie per le decisioni sui progetti da realizzare sono state devolute ad un apposito Comitato presso la Presidenza
del Consiglio dei Ministri al quale, per competenza, è stato trasmesso il Suo contributo.
Nel ringraziarLa per la Sua attenzione all'evento, Le invio, anche a nome del Presidente, i migliori saluti
Dott. Carlo Guelfi, Consigliere Direttore Ufficio di Segreteria Presidenza della Repubblica
Lettera del Presidente del Senato
Gentile Signor Sessa,
desidero esprimere tutto il mio apprezzamento per la sua iniziativa di realizzare una carpetta commemorativa per il 150°
Anniversario dell'Unità d'Italia, una ricorrenza così importante per la storia del nostro paese e per consentire alle nuove generazioni di
apprezzare e valorizzare il presente con una attenta e matura riflessione sulle vicende che hanno portato a costruirlo.
Colgo l'occasione per inviarLe i miei migliori auguri, oltre che per l'iniziativa, anche per la sua attività artistica, alla quale si
dedica con devozione e professionalità dal 25 anni.
Cordialmente
Sen. Renato Schifani, Presidente del Senato
Lettera del Presidente del Camera
Gentile Signor Sessa,
ho ricevuto la Sua gradita lettera del 31 gennaio scorso unitamente alla
carpetta da Lei realizzata in occasione del 150° anniversario dell’Unità d'Italia e
di cui ha voluto gentilmente farmi dono.
Desidero ringraziarLa della cortese attenzione rivoltami, esprimendoLe il
mio apprezzamento per il suo lavoro e per il contributo che ha inteso apportare
alle celebrazioni del 150° dell'unificazione. Questa ricorrenza, insieme al
ricordo dei tanti giovani patrioti che sacrificarono la loro vita per la libertà del
nostro Paese, deve costituire una preziosa occasione per riflettere sul nostro
passato comune e per rilanciare il vincolo solidale che ci tiene uniti come
Nazione.
Nel formularLe i miei sinceri auguri per il compimento dei suoi
venticinque anni di attività artistica, mi è gradita l'occasione per inviarLe i miei
più cordiali saluti.
On.le Gianfranco Fini, Presidente della Camera dei Deputati
Si ringrazia il Presidente del Comitato «150 dell'Unità d'Italia», della Presidenza del Consiglio. per la gentile concessione dell'uso del logo ufficiale nazionale delle celebrazioni, da apporre nella carpetta commemorativa che raccoglie le stampe litografiche di opere pittoriche dei luoghi della memoria garibaldina, da Marsala a Milazzo. Le opere originali saranno esposte in mostre organizzate nei vari comuni interessati al progetto.
L’eroe dei due mondi: Giuseppe Garibaldi
Alle 13.30 dell’11 maggio del 1860 Garibaldi giungeva a Marsala con i due vapori, il Piemonte e il Lombardo, partiti da Quarto la sera del 5 maggio.
Il generale era al comando del Piemonte con 350 volontari, Nino Bixio ne aveva 800 a bordo del Lombardo. Dopo lo sbarco a Talamone, il numero
complessivo si era ridotto a un totale di 1089 uomini e una donna, l’amante di Francesco Crispi, che si occupava della mensa della truppa.
Chi erano i leggendari Mille?
Circa la metà proveniva dal proletariato urbano, vi erano molti artisti, poeti, giornalisti, operai e professionisti,
soprattutto giovani sotto i vent’anni. Erano assenti i contadini, perché, lamentava Garibaldi, “cotesta classe robusta e laboriosa appartiene
ai preti, che se la mantengono nell’ignoranza”. I volontari erano tutti italiani provenienti da Bergamo, Genova, Milano, Brescia, Pavia.
I torinesi erano solo sette, un centinaio i siciliani e i napoletani insieme. C’erano anche 17 volontari stranieri e 11 dello Stato Pontificio.
Il porto di Marsala era indifeso. Due navi da guerra napoletane la mattina dell’11 maggio avevano tolto le ancore senza una spiegazione
plausibile, se è vero che il governo borbonico era a conoscenza dell’impresa garibaldina e supponeva che lo sbarco sarebbe stato lungo
il tratto di costa che va da Trapani a Marsala. Al largo, ad una certa distanza dal porto, stavano all’ancora due navi da guerra inglesi,
mentre dentro il porto erano ormeggiati alcuni mercantili con bandiera britannica.
Lo storico inglese J. Ridley riporta nella sua
biografia su Garibaldi che i garibaldini dopo lo sbarco occuparono i locali del telegrafo senza incontrare alcuna resistenza.
Anzi ebbero il tempo, prima di tagliare i fili del telegrafo, di rispondere ad un messaggio giunto da Trapani, in cui si
chiedeva conferma sullo sbarco di truppe sarde. I garibaldini telegrafarono che la notizia era infondata e che era entrata in
porto una nave mercantile con un carico di zolfo. Perentoria la risposta giunta da Trapani: “Idioti”.
Lo sbarco a Marsala segna l’inizio dell’epopea garibaldina e del processo militare e politico dell’unità d’Italia e fa di Garibaldi il
primo leader della nuova nazione. L’impresa dei Mille coronava, infatti, le aspirazioni di quanti, cattolici e liberali, massoni e
democratici avevano sognato l’indipendenza e l’unità di una nuova patria. Indipendentemente dal giudizio politico a favore o contro
il governo borbonico disarcionato da Garibaldi, pro o contro le scelte politiche operate dai governi di destra e di sinistra dopo l’unità,
è grazie all’azione dei garibaldini che dalle Alpi alla Sicilia poté costituirsi un solo popolo e una sola gente: una d’arme, di
lingua d’altar, di memorie, di sangue, di cor, come l’aveva vagheggiata poeticamente il Manzoni nell’ode Marzo 1821.
Garibaldi non era un politico di professione, anche se non gli facevano difetto le intuizioni politiche a difesa delle classi più deboli.
In ogni caso, come precisa la storica inglese Lucy Riall, autrice di una monografia pubblicata qualche anno fa da Laterza, Garibaldi.
L’invenzione di un eroe, è da blasfemi definire il grande nizzardo un “criminale di guerra” o peggio un “capo bandito”.
Garibaldi “faceva la guerra contro altri soldati, e mai contro i civili; inoltre, non accettava premi o compensi per le sue imprese.
Non bisogna dimenticare che Garibaldi morì povero”.
Se l’impresa garibaldina nell’arco di sei mesi riuscì ad abbattere la monarchia dei Borboni e a creare uno Stato nazionale, ciò fu
reso possibile perché la guerra di liberazione interpretava le speranza di una larga parte degli italiani, quanto meno quelli più
aperti agli ideali risorgimentali. È antistorico, quindi, tentare di ridimensionare il mito che l’Eroe dei due mondi seppe creare
attorno a sé e che continua ad essere vivo in quanti credono nella libertà come bene supremo e nell’Unità del nostro popolo come la
conquista più grande realizzata nel secolo XIX e difesa con la Resistenza nel secolo successivo.
Antonino Tobia - Presidente Libera Università «Tito Marrone», Trapani
A mio nonno e a mio padre
I venticinque anni della mia attività artistica, coincidono con il Centocinquantesimo Anniversario dell'Unità d'Italia e mi porta automaticamente
indietro nei miei ricordi.
Ricordi d’infanzia, insomma della mia vita ed è per tale motivo che desidero realizzare una carpetta commemorativa
che racchiuda in dieci stampe litografiche alcuni luoghi della memoria percorsi da Garibaldi in Sicilia.
La coincidenza dei due eventi mi da
l'occasione di dedicare queste opere alla memoria di mio nonno Francesco Paolo, picciotto palermitano garibaldino, nato nel 1840, sposato
con mia nonna Dominici Settima nel 1873, morto nel 1894, lasciando mio padre Rosario (nato nel 1888), ultimo rampollo di una numerosa prole,
a soli sei anni.
Oggi, i racconti della loro vita mi tornano alla mente orgogliosi e fieri, perché dopo mio nonno, anche mio padre ha contribuito all'Unità d'Italia,
partecipando alla “grande guerra” del 15/18 e uscendone reduce ferito nella ritirata di Caporetto. Tornato a Palermo, in piena crisi economica
post-bellica, papà provò ad emigrare in America, per cercare lavoro e fortuna. Purtroppo i forti legami con la famiglia e la sua terra
d'origine lo fecero tornare in Sicilia e riprendere il mestiere di macellaio come il nonno. Con l'aiuto della famiglia riuscì ad avere
una macelleria tutta sua presso il porto di Palermo. Nel 1920, dopo la classica “fuitina”, si sposò con mia madre, Catalano Vincenza,
ragazza ventenne di San Nicola (Trabia). Misero al mondo otto figli ed io sono l'ultimo, nato nel 1940, quando mio padre aveva già compiuto 52 anni.
Nello stesso anno però scoppia la seconda guerra mondiale e mio padre venne richiamato alle armi nella sussistenza,
come macellaio, ed assegnato presso una batteria contraerea nella periferia di Palermo.
Della seconda guerra, anche se piccolo, ho dei ricordi frammentari, degli sprazzi fatti di sibili, boati e tanta paura, confermati in seguito
dai racconti dei più grandi. Alla fine del conflitto papà dovette far fronte alla dura realtà che lo attendeva: a Palermo la sua macelleria
era andata distrutta dai bombardamenti degli alleati e come tanti altri padri di famiglia palermitani si ritrovò senza casa, senza lavoro e
con otto bocche da sfamare.
Nel cinquantesimo anniversario della Prima Guerra Mondiale, mio padre, ottantenne, ha ricevuto la Medaglia d'Oro ed è stato insignito con
il titolo di Cavaliere di Vittorio Veneto; me lo ricordo con orgoglio quel quadretto appeso al muro e tenuto come fosse un bene prezioso,
oggi so il perché: era una parte importante della vita di mio padre.
Nel 1971, il “destino” mi ha portato ad insegnare, per circa un decennio, nella Regione Veneto, presso istituti superiori al di qua e
al di là del fiume Piave, “sacro alla patria”. Con grande emozione, dopo sessant’anni, durante un loro soggiorno nel Veneto, ho fatto
visitare ai miei anziani genitori i luoghi che videro mio padre combattente.
Le storie delle loro gesta mi hanno accompagnato sin da bambino e se mi fermo a pensare ricordo con quale enfasi venivano raccontate e
l’emozione che provavo ogni volta che le sentivo. Sono proprio questi ricordi che mi hanno spinto a dedicare a mio nonno e a mio padre
le opere che ho realizzato e racchiuso nella carpetta. Esse rappresentano alcuni luoghi della memoria nel percorso che Garibaldi fece,
dopo lo sbarco a Marsala, viste attraverso la memoria del nonno e intrise delle emozioni che io provavo ogni volta che le ascoltavo
per bocca di mio padre. Da Marsala a Milazzo, ultima roccaforte borbonica in Sicilia, il percorso garibaldino viene ricordato
oggi in tante versioni.
Con le mie opere la mia versione vuole sottolineare l'inizio di un percorso che portò all’Unità d’Italia, e da buon Italiano, nel venticinquesimo
anniversario della mia attività artistica, mi sento di dover, necessariamente, ripercorrere tutte le esperienze fatte, che mi hanno portato
a quello che oggi sono.
Oltre al dono che ogni artista ha dentro, la mia carriera è stata caratterizzata da molteplici esperienze professionali, a partire dalla
frequentazione dell'Istituto d'Arte della mia città, che mi ha formato e avviato ai percorsi artistici, legati principalmente alla
conoscenza della storia dell'arte e all'applicazione delle varie tecniche studiate.
Negli anni sessanta, le necessità della vita, anche per l'età avanzata dei miei genitori, mi hanno portato a cambiare
l'ipotetica carriera “artistica”, ed entrare nel mondo del lavoro come “rilevatore topografo”, presso una società specializzata
in “miglioramenti fondiari” operante principalmente in Sicilia e in Grecia, particolarmente nella regione del Peloponneso.
Questo lavoro mi ha fatto conoscere delle realtà molto variegate, sia dal punto di vista socio-antropologico che geomorfologico
della Sicilia e della Grecia.
Nel 1968 sono stato testimone del terribile terremoto del Belice per averlo vissuto in loco, a Montevago. Infatti sono stato presente
sia per il mio lavoro che per dare, come volontario, un contributo tecnico all'organizzazione dei soccorsi.
Agli inizi degli anni settanta ho dovuto, per crisi di lavoro, intraprendere nuovamente gli studi “artistici”. Dopo essermi
abilitato all'insegnamento di disegno e storia dell'arte per gli istituti superiori, ho iniziato la mia carriera di
insegnante “emigrato” nel Veneto, in provincia di Treviso.
Negli anni trascorsi ad insegnare al nord, per superare l'angoscia della nebbia trevigiana, mi è ritornata la voglia
creativa, realizzando numerosi schizzi molto colorati, raffiguranti forme geometriche, ancora legati alla mia
professione precedente. Il colore forte ed intenso mi faceva ricordare la mia Terra, il mio sole e i miei affetti.
Nel 1980 sono tornato a Palermo ad insegnare presso un liceo in pieno centro storico. Ero nella mia città.
L’essere stato lontano mi aveva ancor più legato a quei luoghi, avevo imparato a mie spese quanto mi mancassero quei
palazzi, quelle stradine, quegli odori, quei colori, quelle voci, quel patrimonio artistico ricco di storia, quel popolo
così strano fatto di uomini e donne con aspetti così diversi: alti e biondi – bassi e scuri.
Quegli anni sono stati preziosi per la mia formazione, mi hanno spinto e sostenuto nella mia personale ricerca e nella
rappresentazione di angoli, di spazi, di emozioni vissute e che erano rimaste, forse nel mio animo, aspettando l'input per esprimersi.
Palermo mi ha ridato tutto ciò che per anni ho cercato di ricordare chiudendo gli occhi: le espressioni dei visi tra la
natura, lo sposalizio tra fiori, fogli, farfalle e volti di donne.
Ho iniziato a dare libero sfogo al mio estro. Ho usato le mie mani per disegnare quello che la mia mente vedeva, ho tradotto
le mie immagini in maniera che tutti potessero percepire quello che io vedevo.
Nel 1985 spinto da Franco Stabile, un collega di filosofia e critico d’arte ho realizzato la mia prima mostra ad Alcamo,
con la presentazione dell’archeologo Prof. Vincenzo Tusa. L’ho vissuta come un banco di prova, perché
portavo le mie opere fantastiche e fantasiose, alla visione del grande pubblico. Da lì ho avuto la spinta a continuare e a non frenare la
mia fantasia, ho continuato a studiarmi e a volere sapere cosa io volessi, ho preteso di esprimere la mia sicilianità attraverso i luoghi
e i fatti che hanno visto questa “terra” ora florida, ora in declino, senza tralasciarne lo studio della storia.
Ho cercato di riscattare, a modo mio e nel mio piccolo, il grande valore del popolo siciliano, talvolta, anzi spesso,
visto dagli altri solo ed esclusivamente passivo e colluso.
L'ardita azione militare dell'eroe Garibaldi e dei suoi Garibaldini, ha segnato nella maggioranza dei siciliani uno spirito verso
i valori della libertà e della giustizia.
Possiamo ritrovare questi valori in molti personaggi illustri siciliani: tra cui Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che hanno
pagato con la vita il loro grande senso della legalità, dando una speranza di riscatto ai tanti siciliani onesti.
Il loro sacrificio ha ancor più rafforzato in me l'animo combattivo ereditato da mio nonno e da mio padre, che mi ha stimolato
a fare qualcosa per la mia terra: rappresentare i valori artistici e culturali che nel tempo hanno segnato la storia della nostra Sicilia.
Ho ancora presente il ricordo di quel giorno, che ha offeso la dignità dei siciliani; mentre disegnavo “LA PARIGINA”, senza
alcun apparente motivo, così per caso mi si è versato, su un foglio bianco con degli schizzi, l’ inchiostro di china rosso.
Era il 23 maggio del 1992, il giorno della morte di Falcone.
Oggi, con la saggezza dei miei 70 anni, vorrei chiudere con una piccola considerazione: la vita ci impone delle scelte,
non sempre realizziamo quelle che noi vogliamo o che abbiamo sognato.
Le vicende vissute, le emozioni, i percorsi accidentali, i momenti intimi, gli slanci giovanili, le illusioni perdute, la
saggezza della maturità servono a dare spessore ai propri sentimenti e alla fantasia creativa che ci viene data dal profondo
dell'anima.
L' ultimo mio pensiero ma non per questo meno importante lo dedico a mia moglie, che mi ha sempre sostenuto e sopportato per quasi mezzo secolo!!
Aldo Sessa.
Contributo di Annita Garibaldi Jallet
La rappresentazione dei luoghi della memoria garibaldina attraverso l'arte è un modo accattivante di trasmettere sensazioni, sentimenti, conoscenza,
quando tante parole sono state spese, e talvolta in vano, per ricordare la storia d'Italia. Essa è ancora iscritta nei nostri paesaggi ed in quegli
edifici, quelle piazze, quelle antiche mura che sono ancora com'erano in quei tempi. Cosa di più suggestivo che i segni delle cannonate, e magari
una palla di cannone nelle mura di una città, di una antica porta dalla quale sono passati i garibaldini, quegli uomini mal armati e mal vestiti che
andavano a sconfiggere le truppe di un Impero? Cosa di più simpatico che la taverna dove hanno mangiato un pezzo di pane e di formaggio, in tanti
ammucchiati? O la stanza dove il loro Generale riuniva lo Stato Maggiore, che poi era la sua stanza per dormire, e ben poco dormire perché non vi era tempo?
Le tracce di tutto questo si ritrovano lungo la strada di Garibaldi e dei garibaldini in Sicilia, ogni luogo segnato da una vittoria, col suo tricolore che
sventola, con i suoi cavalli che galoppano, e con la bella gioventù italiana che muore, o canta. Marsala, dove si sbarca, e dove nessuno ha capito bene chi
siano quei diavoli di rosso vestiti, Calatafimi, la prima battaglia, la più rischiosa, la più bella. Passata quella si può fare tutto. Ma certo Palermo,
oltre che la grande vittoria del Ponte Ammiraglio, è un capolavoro di diplomazia. Ormai, ad isola conquistata, bisogna comporre con le autorità, e tra
le prime, la Chiesa che lo aspetta sulla soglia della cattedrale. Dio benedica l'Italia, aveva detto Pio IX, non si saprà mai se alludeva a quella che
nasceva o alla vecchia espressione geografica. Comunque in quel momento, può darsi che la sua benedizione sia stata accolta dal Dio degli eserciti.
I pittori del Risorgimento, raggruppati in una bella mostra nelle Scuderie del Quirinale quale premessa al 150° anniversario dell'Unità d'Italia, ci
hanno restituito l'atmosfera di quel tempo. Ci commuove ancora di più che un artista d'oggi si ispiri alla nostra cultura nazionale per compiere il suo
itinerario patriottico. Questo vuole dire che il Risorgimento è vivo, e nei nostri tempi travagliati, rendiamo grazie ad Aldo Sessa di avercelo, con
talento, ricordato.
Annita Garibaldi Jallet, pronipote di Giuseppe Garibaldi, docente Università di Bordeaux e direttrice Ufficio Storico Museo Garibaldino Roma
L'artista con Annita Garibaldi Jallet, Trapani 23 Ottobre 2010
La Sicilia nelle chine di Aldo Sessa
Di fronte a questi disegni a chine colorate che rappresentano luoghi e
ambienti urbani, monumenti e scorci panoramici insoliti, particolari
architettonici e decorativi che impongono la loro presenza tra i ruderi e
l’abbandono degli antichi mandamenti delle città murate, l’osservatore
estraneo alla storia di Sicilia, resta sbalordito e avviluppato in una storta di
straniamento compiaciuto al limite della complicità.
Lo straniamento in apparenza è dato dalle atmosfere metafisiche in cui le
orditure architettoniche, in assoluta assenza di uomini o cose, sembrano
stagliarsi nello spazio dell’inquadratura scelta circondata quasi sempre da
cieli imperturbati o talvolta incrinati dal bianco di nuvole immobili. Ma più
profondamente esso deriva da quella condizione di “assurda oggettivazione”
per la quale il contesto, osservato nella sua realtà visiva, sa proiettarsi
magicamente dal suo presente degrado alla bellezza immaginata nella quale
il pittore si costringe in grazia di quella sua trama cromatica capace di
riconfigurare, tra una smagliatura e l’altra, ciò che è irrimediabilmente
perduto o di ridare forma a ciò che di essa rimane sfidando il tempo e
l’incuria degli uomini che fino a ieri la ignoravano.
Una realtà immaginaria di immagini reali si assembla perciò con precisione
fantastica nel dettato prospettico e architettonico cui rimanda ogni visione
riconoscibile e sempre nuova anche quando muta solo l’angolazione o si
“zumma” su un particolare, poiché nei disegni di Aldo Sessa l’antico
vedutismo urbano e la documentazione fotografica si compenetrano creando
quello smarrimento che è insieme straniamento ed emozione, cioè la sua
poetica, la sua originale espressione grafica che fa del pittoricismo uno
strumento di lettura urbana al limite della documentazione reale e della
fantasia.
Osservare questi quadri è come sfogliare un libro con le incisioni degli
antichi viaggiatori, ma si tratta poi di un percorso umano e urbano che
riconduce alla realtà odierna senza la disperazione della nostalgia e, quel che
più conta, sia sul piano estetico che su quello psicologico, di una prospettiva
che afferma l’incanto della rinascita della città la quale, a partire proprio da
quanto resta e da ciò che potenzialmente può divenire, nel raffronto tra realtà
e la dimensione onirica, potrà riacquistare quello smalto vitale che potrebbe
far riempire di uomini e di donne anche le immagini materiali del pittore.
Prof. Piero Longo - Presidente “Italia Nostra” sezione di Palermo
Le Opere inserite nella carpetta commemorativa
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